A Torino un interessante convegno di Federmanager si interroga sul futuro del dirigente.
Il collega Renato Valentini, presidente della commissione sindacale e lavoro di Federmanager Torino, nell’immaginare il convegno di cui parliamo, tenutosi in quella città il 27 febbraio ultimo scorso, probabilmente sapeva che i relatori avrebbero suscitato grande interesse.
Ma il risultato è stato persino superiore alle attese: verrebbe da commentare che la metropoli piemontese non ha mai abdicato al suo ruolo di capitale culturale.
L’evento era basato sui contributi di due ospiti d’eccezione, il professor Giulio Sapelli e la professoressa Laura Rolle, ben moderati da Orlando Ferraris della società di comunicazione Zip di Torino.
Giulio Sapelli, storico dell’economia, allievo di Fuà e Modigliani (scusate se è poco), è originale nel pensiero, lucido ed appassionato nell’esposizione, singolarmente lontano dalle “mode” culturali odierne, che pure tra gli economisti imperversano. E sembra rifarsi alle ragioni di quel “centrosinistra antico” che fu l’ultima stagione industriale gloriosa del nostro Paese.
La sua lunga consuetudine di relazione con la categoria (lui stesso è stato dirigente) ha costituito un punto di forza della sua esposizione. Sapelli conosce ed apprezza i dirigenti veri, quelli capaci di “resistere agli shareholders”, animati da un sincero spirito comunitario, portatori di valori sostanziali.
Sui lavori del convegno aleggiava lo spirito di Adriano Olivetti: Giulio Sapelli è figlio di quella tradizione. La sua analisi è pungente: è cambiato il capitalismo, passato dalla centralità della produzione alla centralità del consumo. Così oggi le grandi organizzazioni del passato, anche ridondanti ma vocate allo sviluppo, non sono più necessarie: ci siamo scervellati per più di un trentennio sui modelli organizzativi, oggi quel discutere non ha più senso.
A legare i lavori alle miserie del presente ha provveduto Laura Rolle, docente di Semiotica a Torino.
“Gli studenti, ha detto la professoressa, conoscono più i cuochi dei managers, e la dirigenza non rientra più negli obiettivi dei giovani. La società non dà più valore alla continuità, perché ci si concentra solo sull’attimo presente e sulla collezione di esperienze diverse: è cambiata la percezione del sapere.
Secondo la professoressa, persino la laurea, un tempo traguardo esistenziale ambito, ha sempre meno senso. Laura Rolle non suggerisce soluzioni: si limita ad identificare linee di tendenza, nella convinzione che di lì occorra partire per costruire il futuro, cercando una nuova “narrazione”. Questa dovrebbe partire dal punto fondamentale di “prendersi carico delle responsabilità”, sviluppando così anche la percezione positiva del ruolo della dirigenza nella società.
Le indicazioni di prospettiva sono venute ancora da Sapelli, in un interessante botta e risposta con la sua interlocutrice.
Nell’Owners’ Capitalism dell’attuale nuova economia, nel capitalismo finanziario delle stock options, c’è meno bisogno di managers. E se un tempo l’indice di efficacia di un’impresa era il ROE (Return ON Equity), oggi è diventato l’EBITDA (Earnings Before Interest Taxes Depreciation Amortization).
Così, a livello globale, oggi la Germania minaccia il mondo non più con la Marina, ma con la Deflazione.
E in Italia, una borghesia “compradora”, mai assurta al suo ruolo di propulsione nazionale, sempre più tende ad avvalersi non di managers ma di mercenari.
“Non si dirige senza grandi ideali” ha commentato Sapelli, ricordando poi come nella Torino degli anni ’60 fossero i dirigenti ad affollare le conferenze di Roland Barthes.
“Occorre schiena dritta per tornare ad essere dirigenti, e ci si deve far carico di far rinascere la grande impresa in Italia, non solo col capitale privato, ma anche attraverso l’intervento pubblico”, ha irritualmente concluso il professore.
Dal moderatore Ferraris è venuto un interessante interrogativo su come sarà l’industria nel 2045, dopo che l’intelligenza artificiale avrà potuto dispiegarsi in modo pervasivo, con il rischio di cancellare un crescente numero di posti di lavoro.
Sapelli si è definito “non catastrofista”, convinto dell’essenzialità dell’intervento umano anche nelle nuove condizioni, individuando aree di insostituibilità nella manutenzione, in produzioni non ripetitive e di alto valore, ma anche ad esempio nella cura delle persone.
Si è detto fiducioso della perdurante necessità di cultura e umanità, e ha raccomandato di non farsi prendere dal mito della tecnologia.
“In fondo gli interessi non sono mai oggettivi – ha aggiunto Sapelli- ma soggettivi, spirituali, fino a costituire persino vere e proprie rappresentazioni oniriche della realtà”.
“Dirigente è colui che sa far bene le cose, e di questo ci sarà sempre bisogno”.
Laura Rolle, concorde, ha commentato che la creatività interiore tornerà ad essere essenziale, così come l’educazione decisionale.
Un discorrere intenso e denso, che ha preso tutto l’uditorio: dal convegno si è usciti con la convinzione che la categoria dirigenziale ha di fronte a sé ancora una lunga strada da percorrere, con passione, determinazione e coraggio.
Un’ultima considerazione: il convegno torinese costituisce un viatico importante in vista del prossimo rinnovo contrattuale della dirigenza. Ritrovare l’individualità essenziale, il ruolo e le prospettive del dirigente nel contesto attuale è presupposto essenziale per una trattativa non liquidatoria.